Separare le Carriere Giudiziarie (soltanto?)

Continuiamo a dissertare, e ad alimentare contrasti, sulla separazione della carriere giudiziarie. Da pessimista quale sono, dopo cinquantacinque anni di professione,  chiedo: “A che pro, qui da noi?”.
A differenza nostra, altri paesi  non hanno  titolo (ma neppure l’arroganza) per dirsi “culla del diritto” (e, però, come scrisse Corrado Pallenberg ancora nel 1973, anche “tomba della giustizia”), tuttavia  hanno forse qualcosa da insegnarci sulla materia…. Il Canada, ad esempio.
A giurisprudenza, all’università di Saint-Foi a Québec, avevamo in facoltà un’aula del tribunale nella quale si teneva un processo ogni quindici giorni  cui assistevamo, guidati dai docenti, fin dal primo semestre di studi.
Ossia eravamo posti – futuri giudici, pubblici ministeri, avvocati – in condizione di  imparare,  fin coi primi rudimenti del diritto,  che in sede di   applicazione-realizzazione della legge nella vita concreta esistono solo differenze di ruoli in vista di uno scopo unico. Quello di “fare – possibilmente – giustizia”
Di qui l’esistenza, comune a tutti,  di una  “cultura della funzione” – coessenziale alla conoscenza del diritto – e di qui anche l’inesistenza di carriere da separare. Carriere che, quand’anche separate, senza quella cultura unitaria non risolveranno i guasti della (in)giustizia italiana. Quelli  che stanno molto a monte rispetto a quel problema e sui quali si è reticenti preferendo argomentare per vie traverse.

Avv. Domenico Carponi Schittar