Alcolici E Noi che i Figli Siamo, Beviam, Beviam, Beviamo
Stando a notizie di varia fonte risulterebbe che “da noi” i giovani accedono agli alcoolici e ai superalcoolici verso gli 11 anni (la media europea sarebbe invece sui 13 anni).
Alcuni giovani intervistati giustificherebbero tale accesso trincerandosi dietro “la noia” e alcuni baristi intervistati (ecco delle fonti attendibili!) avrebbero espresso lo stesso giudizio, … senza peraltro aggiungere – sembra ragionevole concludere – “ noi, però, non serviamo alcoolici ai minori”.
Rammento che in una datata trasmissione televisiva una psicologa intervenuta sull’argomento ritenne di sottolineare che gli adulti dovrebbero porsi la domanda “Ma dove siamo noi mentre i nostri figli si ubriacano?”
Vero il fatto (e non solo qui da noi. Qui abbiamo solo abbassato gli standards di età), vera la causa (o una delle cause), vero il doversi interrogare, … però, sia che se ne parli alla televisione, sia che se ne legga sui giornali o in importanti convegni, direi sia anche vero che il discorso resta a mezza via tra il superficiale e l’ipocrita.
Forse, per affrontare il problema con trasparenza e anche, costruttivamente, per cominciare a dargli un inquadramento atto a porre le premesse ad alcune indagini, ad alcune risposte, ad alcune proposte sul da farsi, dovremmo porci e dare risposta a interrogativi diversi da quello proposto.
Eccone soltanto alcuni.
Come possiamo “esserci” noi adulti se disfare una famiglia anche a capriccio è divenuto più facile che farla?
Come possiamo “esserci” noi adulti se si permette con sistematica impunità che in sede dei sempre più numerosi disfacimenti familiari le figure parentali vengano frequentemente distrutte, strumentalmente (e sempre impunemente), dall’uno o dall’altro genitore infischiandosi delle conseguenze che ricadono sulla formazione dei figli che hanno perso riferimenti fondamentali per la loro crescita.
Come possiamo “esserci” noi adulti se, in ogni possibile sede in cui entri il ballo il nostro ruolo genitoriale, gli atteggiamenti di autorità risultano da bandire, i mezzi di correzione che superino l’agitare il dito indice ondeggiandolo da destra a sinistra concretano quanto meno violenza psicologica, l’imporre degli orari ai figli corrisponde a castrare il libero sviluppo della loro personalità e del loro senso di responsabilità, il sorvegliarne le amicizie integra la violazione della loro privacy?
Come possiamo “esserci” noi adulti se, congetturate da qualcuno misure antibullo e coprifuoco per gli infrasedicenni (così in taluni cantoni svizzeri… da noi neppure oseremmo pensarci…. Chissà la canea delle invocazioni alla Costituzione e ai Diritti dell’Uomo!), entrano in ballo le prefiche che cominciano a piangere sulle spalle dei poveri giovani maltrattati?
Come possiamo “esserci” noi adulti se viene perfino sanzionato l’eventuale rifiuto di corrispondere ai poveri e maltrattati fanciulli l’argent de poche che potrebbe poi finire consumato proprio nel bar dei superalcoolici?
Come si combatte la noia quando nella scuola il dare da svolgere quei compiti per casa che nella mia generazione ci tenevano impegnati fino a notte, ha assunto un carattere quasi delittuoso (integrante – c’è stata una stagione in cui qualche acuto pensatore ha avuto questa trovata – un “nozionismo fascista”)?
Come si combatte il disordine personale (che spesso si accompagna ad altre forme di disordine) e quello morale, e comunque come si può trasmettere un esempio edificante e orientante quando di molte figure frequentemente esaltate dai media si può dire, per essere molto generosi, che non danno proprio l’impressione di essere degli assidui lavoratori, o degli studiosi (eppure si arriva ad attribuire lauree honoris causa), e tuttavia se ne fanno dei modelli che sono ben più attraenti e condizionanti di un padre e di una madre che lavorano e tirano la carretta?
Come si mettono in riga non uno o dieci o cento giovani, bensì generazioni intere in una società nella quale la via per il successo e la sistemazione sembra segnata da tette e deretani messi in bella vista in ogni mezzo di comunicazione; nella quale il “libero film” esalta ogni forma di violenza, abitua al turpiloquio, tratta come manifestazione ludica l’uso di stupefacenti; nella quale i precoci rapporti sessuali completi tra soggetti sugli undici-dodici anni sono entrati nel costume dato per ovvio proprio da coloro che poi puntano il dito sulle nostre colpe di adulti distratti mentre i figli sbevazzano fino all’incoscienza?
Vuol dire che non dobbiamo interrogarci, come suggerito dalla psicologa?
No. Tutt’altro. Ma forse per avere risposte utili sarebbe meglio affidarci, se ancora se ne trovino, ai boni patresfamilias di un tempo rifuggendo dai tanti soloni e maitres à penser, cui viene spesso data molta voce senza, però, che la luminosità del loro pensiero paia giovare molto alla società.
Avv. Domenico Carponi Schittar