Caso Cucchi, Processo ai Carabinieri
La stampa riporta che tre ufficiali (anche alti) dei Carabinieri, convocati in Corte d’Assise come testimoni nel processo per l’omicidio di Stefano Cucchi, “si sono avvalsi del diritto al silenzio” in quanto rispondendo avrebbero potuto autoincriminarsi.
Era loro diritto, come lo è di qualsiasi soggetto, nazionale o straniero.
Solo che loro non sono un “qualsiasi soggetto”.
La loro divisa li separa da qualsiasi soggetto.
La loro divisa li divide da chiunque altro non perché gradi, galloni e ori li rendano superiori, bensì perché quegli oggetti di distinzione “mostrano” che competono loro delle prerogative connesse con le loro funzioni, ma “mostrano” soprattutto che chi li porta ha dei doveri che li distinguono dal “qualsiasi soggetto”.
E’ solo il giusto presupposto che essi siano all’altezza delle loro funzioni e anche dei doveri connessi alle stesse ad attribuire attendibilità e fiducia al frutto della loro attività al servizio della società. E’ quel presupposto che fa ritorcere il discredito su chi mette in dubbio la loro credibilità.
…. Ma se quel presupposto viene meno?
Il diritto a tacere è rinunciabile da qualsiasi soggetto.
I tre ufficiali non lo hanno rinunciato.
Ossia si sono comportati come fa qualsiasi ladro che, venendo interrogato, confida che il silenzio giovi a coprire le sue malefatte.
Sennonché i galloni sull’uniforme che accomuna i ladri sono quelli del casellario giudiziale, non coincidono con quelli che, posti su una divisa, attribuiscono automaticamente a tutti quanti li portano – separandoli dal “chiunque” – quella presunzione di onorabilità che regge solo e finché chi se ne ammanta ne è moralmente meritevole.
Avv. Domenico Carponi Schittar