24 Ottobre del 1989 – 24 Ottobre 2019
Sono trascorsi ormai trenta anni dall’entrata in vigore del codice di procedura penale di ispirazione accusatoria in Italia.
Viene da domandarsi: che cosa è cambiato in questi trenta anni ?
La risposta è amara: non è cambiato nulla.
L’impreparazione culturale al nuovo degli Avvocati, dei Magistrati, Pubblici Ministeri e Giudici e delle università è stata pressoché unanime: i cittadini inconsapevoli di tutto ciò che accadeva, oggi si ritrovano un processo che reputano preoccupante.
Essi hanno paura della giustizia e, quando la persona indagata o testimone, entra in un aula di giustizia si sente privata dei suoi diritti ed ha difficoltà a svolgere il ruolo di testimone e, se indagato, ha paura ad affrontare il giudizio in tribunale.
Tutto questo è dovuto al fatto che le aule di giustizia sono gelide, non si sente il calore dei sentimenti, il cittadino si sente trasformato in un fascicolo, sente di perdere la propria identità avvertendo di essere un mero numero.
Il giudice di turno si trova decine di fascicoli sul tavolo, è consapevole che non potrà conoscerli tutti e questo lo avverte il cittadino, il quale si preoccupa che da una conoscenza superficiale da parte del Giudice possa derivare la sua condanna.
Poco importa se un cittadino ha precedenti penali o è incensurato, egli avverte che il rischio è alto e che pertanto è facile che il Giudice stesso concorra nell’errore.
Ieri mi sono trovato in un processo come difensore ad assistere una persona indagata, processo che veniva chiamato come settantottesimo nell’elenco dei processi che in totale erano ottanta.
La piccola aula del tribunale era completamente occupata dagli avvocati e la porta dell’aula veniva tenuta chiusa, quando é obbligo che le udienze siano, salvo rari casi, pubbliche.
Il cliente che mi stava vicino e aspettava il suo turno balbettava, poco potevo fare per tranquillizzarlo, tanto era inquietante la calca delle persone.
Che cosa aggiungere a questo stato d’animo del povero cittadino indagato che lo potesse tranquillizzare ?
Le parole in tali situazioni non servono a nulla se non addirittura ad aggravare il pietoso stato d’animo di chi si trova nell’aula di giustizia dove è scritto a caratteri cubitali “La Giustizia è Uguale per Tutti”.
Tra pochi giorni si terranno convegni in tutta Italia per festeggiare i trenta anni del cosiddetto nuovo processo penale in Italia.
Che cosa dire se non che noi addetti ai lavori abbiamo tutti fallito, abbiamo perso una grande scommessa, abbiamo mancato di apprezzare una “Grande Legge di Civiltà Giuridica” per mancanza di metabolizzazione di una nuova cultura giuridica che era necessaria per passare dal processo del 1930 al processo del 1989.
Si sono persi trenta anni ed oggi siamo in forte ritardo e bisogna ammettere che per arrivare ad un cambiamento culturale non sono bastati trenta anni e forse ce ne vorranno altri trenta affinché un nuova generazione di giovani del domani sappia svolgere le nuove nobili funzioni di Avvocati, Pubblici Ministeri e Giudici che insieme, nel rispetto reciproco, sappiano creare una giustizia più giusta per tutti.