Codice di Procedura Penale Articolo 358, Flatus Vocis di un Legislatore Facondo
“Il mancato svolgimento da parte del pubblico ministero di attività di indagine a favore dell’indagato non ha rilievo processuale alcuno”. Così la corte di cassazione (III^ sezione, 23 giugno 2010 nr. 34615) che ha asserito che l’inattività della pubblica accusa può essere sopperita dallo svolgimento delle attività di investigazione difensiva previste dagli articoli 391 bis e seguenti del codice di procedura penale.
Già in precedenza la corte (II^ sezione, 21 maggio 1997, nr. 3415) aveva sentenziato che “la disposizione dell’articolo 358 secondo la quale il pubblico ministero svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini, non si traduce in un obbligo processualmente sanzionato e non toglie il carattere eminentemente discrezionale delle scelte investigative”.
Il vestito della festa (“Ammirateci: da noi il pubblico ministero cerca anche le prove a favore dei sospettati!”) c’è e non viene smesso, ma lo si chiude accuratamente in armadio affinché l’uso non lo consumi.
A qualcuno, in alto loco, viene il sospetto che la norma del codice di procedura penale che porta la prescrizione di “svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini” abbia un contenuto che va molto al di là del semplice rilievo processuale ed evidenzi un valore irrinunciabile cui dovrebbe essere improntato ogni processo “civile” perfino nel silenzio delle norme.
Quale contenuto? Un dovere.
Quale valore? L’obbiettività.
Si tratta di un principio che peraltro traspira da numerose norme del codice di procedura penale che suonano ben altro rispetto al “faccia se crede” in cui si possono tradurre i parolonibus (“carattere eminentemente discrezionale delle scelte” ) delle sentenze.
Si veda – attenendoci solo al personaggio dell’accusa – l’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice in forza del quale il pubblico ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione “quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. A rigor di logica parrebbe evidente che solo in casi specifici potrebbe formarsi un ragionevole e ragionato giudizio al riguardo chi si fosse preoccupato di raccogliere esclusivamente elementi di prova a carico.
Se il presupposto della norma è di evitare a un innocente, e addirittura a un possibile innocente, la via crucis del procedimento e del processo (il che è esplicitato nell’articolo 425 che impone un non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti risultano “non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” , ossia là dove la stessa può essere accolta solo se la prova della colpevolezza va al di là di ogni ragionevole dubbio”), dovrebbe risultare implicito (oltre ogni ragionevole dubbio) che la norma in analisi costituisce un must di tale intensità da consentire di affermare che il percorso inquisitorio dovrebbe essere rovesciato cercando in primis la conferma di quella innocenza che è presunta e, solo non giungendo a coglierla, ripiegando sul cercare la prova della responsabilità.
Quando si viene a compromessi coi principi (in questo caso il dovere di obbiettività della pubblica accusa) rattoppandoli e scaricandoli a valle (“l’inattività della pubblica accusa può essere sopperita dallo svolgimento delle attività di investigazione difensiva”) non si fa altro che opera di diseducazione di chi opera e di scardinamento dell’ordinamento in cui si opera. E’ poco lodevole, tra l’altro, che questo genere di partita si giochi in casa.
E’, purtroppo, un sistema (vedi – solo ad esempio – il carattere meramente ordinatorio che avrebbe il disposto sulla celebrazione del processo senza soluzioni di continuità; vedi la interpretazione fantasiosa dei termini “immediatezza” e “subito dopo” che fissano al giudice il momento di pronunciare la sentenza; vedi altro).
Da uomo della strada dico: se davvero ci sono norme nel codice di procedura penale che “non hanno rilievo processuale alcuno” e la loro attuazione è lasciata a scelte “eminentemente discrezionali”, perché non avere il buon senso di eliminarle invece di lasciarle a fare bella scena come il vestito della festa … Si eviterebbero illusioni alle persone che si aspettano che quelle norme abbiano un senso e un valore, si eviterebbe l’imbarazzo di dover ricorrere a fantasiosi giri di parole per convincere che non rispettandole non si arreca ferita alcuna al sistema giustizia.
Sistema?… Mi sembra una parola grossa!
Avv. Domenico Carponi Schittar