Obbligatorietà della azione penale. Un orgoglio che ci distingue
Quanto alla prescrizione la azione penale scelta del legislatore (che parola grossa!) sembra sia stata “non alziamo il ponte, abbasseremo il fiume”.
Ossia: adottiamo una soluzione che non risolverà il problema reale: quello di realizzare una giustizia tempestiva.
E’ azzardato affermare che si è adottata l’opzione due perché se è vero che alzare il ponte sarebbe stato agevole e percorribile addirittura senza riforme del codice, tuttavia il percorso sarebbe stato possibile soltanto a condizione di realizzare (a) una abolizione (l’ipocrisia) e (b) una ristrutturazione (il modo di pensare) ruotanti attorno al processo penale? Può essere che essendo entrambi arduamente realizzabili si sia ritenuto che la scelta “abbassare il fiume” fosse la più facile da attuare?.
Infatti, come sradicare il sentire nazionale, in particolare quello dal quale dipende il funzionamento del sistema giustizia, dall’attaccamento alla ipocrita affermazione della obbligatorietà dell’azione penale che tanto contribuisce a intasare il deflusso del carico penale…? Per carità teniamocela cara, perché è un vero “valore aggiunto” alla preziosità del sistema, differenziandolo da quelli nei quali l’azione sarebbe affidata al capriccio di singoli pubblici ministeri.
E come riprogrammare i sottili distinguo che intralciano i fini deflattori del processo eludendo l’articolo 125 delle disposizioni di attuazione o paralizzandone gli effetti, riducendo quelli dell’articolo 425, snaturando il giudizio abbreviato, minimizzando il principio dell’al di là del ragionevole dubbio?
Noi riduciamo il carico penale soprattutto abolendo i reati o rendendoli perseguibili su querela (fingendo di non sapere che ciò significa affidarli al dimenticatoio, per cui la gente rinuncia a presentarla e – oplà – il reato non c’è più). Vediamo come lo riducono invece quei pubblici ministeri che – secondo una diffusa opinione divulgata ad arte – agirebbero capricciosamente anziché essere legati alla “obbligatorietà dell’azione penale”.
Ecco un esempio.
Nello Stato di New York l’azione penale non sarà proseguita se sussistano le condizioni che da noi sono stabilite dall’articolo 129 del codice di procedura, ovvero se la pubblica accusa non avrà intrapreso l’azione nei termini stabiliti a pena di decadenza e, inoltre (§170.40), quando la rinuncia costituisca un dovere “per l’esistenza di fattori, considerazioni o circostanze che dimostrino chiaramente che la persecuzione in giudizio o la condanna dell’imputato costituirebbe o si tradurrebbe in una ingiustizia”.
E “per determinare se ricorrano tali fattori, considerazioni o circostanze cogenti, la corte deve prendere in considerazione – separatamente o cumulativamente – quanto segue:
– La gravità e le circostanze della violazione,
– L’intensità del danno provocato alla vittima,
– La prova della colpevolezza e la sua ammissibilità o meno nel processo.
– I precedenti, il carattere, le condizioni di vita dell’imputato.
– Eventuali serie violazioni di doveri di condotta da parte di soggetti che abbiano promosso le indagini, l’arresto, l’azione penale a carico dell’imputato.
– Lo scopo e l’effetto che saranno prodotti sull’imputato da una sentenza di condanna proporzionata alla violazione.
– L’impatto della rinuncia all’azione sulla fiducia del pubblico sull’amministrazione della giustizia penale.
– (Se la corte lo ritenga conveniente) l’atteggiamento della vittima con riguardo all’esercizio dell’azione penale.
– Ogni altro profilo rilevante che indichi che una sentenza di condanna non risponderebbe ad alcun fine utile”.
E’ capriccio, o si tratta di un sano pragmatismo?
E, invece di capriccio, non è più sano ancora il pragmatismo imposto al pubblico ministero inglese che stabilisce quale precondizione all’avvio dell’azione penale la ragionevole aspettativa di conseguire una condanna basata sul fatto che – stanti le prove (ammissibili) di cui già dispone – essa sarà più probabile che non? …. Fermo, anche per costui, il fatto
⦁ che l’azione penale sia coerente con l’interesse pubblico (ove non lo sia sono previste misure alternative);
⦁ che il processo non sia destinato a concludersi con una pena simbolica;
⦁ che la vittima non abbia perso interesse alla persecuzione del reato;
⦁ che il processo possa aver luogo “prima che la memoria dell’accaduto si sia cancellata dalle menti dei testimoni”;
⦁ che – nonostante non siano posti termini dalla legge – il ritardo nel portare il fatto al processo non sia tale da tradursi in “abuso del processo corretto”.
E’ azzardato affermare che se ci si attenesse a tutto ciò – ossia, sostanzialmente, riprendo quanto affermato, se si osservassero strettamente gli articoli 129, 425, 125 (coerentemente col principio dell’al di là del ragionevole dubbio) – il contenimento del numero dei processi destinati, ab ovo, a concludersi con assoluzioni e la concentrazione sui processi dal presumibile esito positivo basterebbero da soli a fare tanto spazio negli scaffali e nei ruoli da poter avviare verso il giusto processo celere e da far accantonare discettosi discorsi sulla prescrizione, lo sbandierato interesse pubblico al suo prolungamento, il preteso interesse di bottega degli avvocati al suo contenimento!
Avv. Domenico Carponi Schittar